È tornato, per il Corriere: “Mattarellum e voto in aprile”. Non è più lui, per il Fatto: “pure Renzi commissariato”. “Un’autocritica che non convince”, scrive Stefano Folli per Repubblica. “Ho sbagliato e ho perso, anzi “straperso perché non mi sono fatto capire dagli italiani…perché non abbiamo saputo usare il “web” e ci siamo arresi alle “bufale” diffuse via internet dagli avversari”. Ma mi faccia il piacere, rubo la celebre frase al principe De Curtis! “L’autocritica di Renzi sarebbe stata molto più convincente se si fosse addentrata nella vera contraddizione di quei sette mesi di campagna elettorale: credere che l’Italia descritta sulla via della ripresa a tutti i livelli, socialmente coesa e ottimista sotto la guida del leader, fosse quella vera.Viceversa l’epica renziana andava in una direzione mentre il paese arrancava in un’altra”. Insomma non si salvano dalla sconfitta (come invece Renzi ha tentato di fare) jobs act, buona scuola, bonus e sgravi fiscali. Perché, quanto meno, quelle riforme non hanno avuto l’esito vantato e i giovani si sono sentiti traditi da rassicurazioni menzognere.

Mattarellum, ecco l’arma del Renzi 2.0. Una sfida al Presidente della Repubblica: caro Mattarella,con la legge che porta il tuo nome si può votare già ad aprile o al massimo a giugno: collegi uninominali per il 75% degli eletti, poi quota proporzionale per i partiti. Ed è certo che, rispetto all’Italicum, questo passo indietro – si torna a 23 anni fa, scrive Massimo Franco per il Corriere – appare un passo avanti: gli elettori vedrebbero in faccia, collegio per collegio, i loro futuri rappresentanti. Ma il Giornale la chiama già “legge ad personam”, l’unica – spiega – con cui “il partito del 41%”, il Pd che Renzi vorrebbe riscoprire partendo dai sì al referendum, abbia la speranza di vincere. “Di nuovo, serpeggia – scrive Massimo Franco – il sospetto di una legge pensata su misura per elezioni a breve termine e per la rivincita di un vertice dem umiliato dal referendum del 4 dicembre. Dunque, non l’inizio di una nuova stagione, ma l’ultimo colpo di coda per fare sopravvivere quella appena archiviata”.

Senza congresso. Forse è questa l’unica novità di ieri. È apparso chiaro come Renzi non abbia fretta di convocare il congresso del Pd, perché probabilmente lo vincerebbe ma ne verrebbe fortemente ridimensionato. E, dunque, preferirebbe votare prima, previo compromesso con Franceschini, giovani turchi e renziani renitenti. Ma chi ha fortissimamente voluto un plebiscito e ne è uscito fragorosamente sconfitto, può mettersi alla guida di una nuova, immediata, crociata? Gianni Cuperlo ha tessuto l’elogio funebre del segretario rottamatore: “Esprimo solidarietà umana a Matteo Renzi – ha detto – ma con la stessa sincerità sento il bisogno di un’alternativa alla guida del partito”. “Con il referendum – ha osservato invece Walter Tocci – si chiude un ventennio della politica italiana. Quello di Renzi è stato il coraggioso tentativo di restaurare il vecchio edificio forzando per legge un bipolarismo che però non esiste più nell’opinione pubblica”. Sono posizioni di minoranza ma che forse incontrano un sentimento più diffuso e che dice: basta colpi di coda e colpi di testa, basta campagne elettorali che sembrano un rilancio a lascia o raddoppia o una sfida alla ruota della fortuna. Speranza ieri ha chiesto “Quando si aprirà un tavolo con insegnanti e studenti per cambiare la buona scuola? Quando cambiamo sui voucher?” Il radical stalinista Giachetti ha ignorato il merito delle domande e insultato invece Speranza perché, da capo gruppo, non appoggiò il Mattarellum che oggi invece si intesta. Tipico fallo di frustrazione!

Virginia Raggi frequentava Raffaele Marra ben prima dell’inizio della campagna elettorale – dice a Fiorenza Sarzanini l’ex capo dell’avvocatura capitolina Rodolfo Murra – “Me lo raccontò Marra spiegando che lei, Salvatore Romeo e Daniele Frongia volevano vincere e lo avevano reclutato come punto di riferimento in Campidoglio. Lui poi ha preso il potere pieno e noi abbiamo sempre pensato che alla base di tutto ci potesse essere un ricatto. Era interlocutore dei costruttori e aveva legami con la destra romana”. Verità scomode? Calunnie? Supposizioni infondate? Resta che il Movimento 5 Stelle non riesce ad aver pace. E, quello che più conta, non trova pace l’amministrazione del comune di Roma. “MCS diviso su Colomban” titola il Corriere. Da parte sua Repubblica racconta “La restaurazione di Raggi. Vice sindaco un fedelissimo. Così torna il raggio magico”. Come dire? La guerriglia continua.

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