Qual’è la notizia, oggi 19 aprile 2016? “Duello tra Merkel e Renzi sui fondi UE per i migranti”, Stampa? “Centinaia di morti in mare”, Corriere? “La mappa del non voto al referendum”, Repubblica? La notizia è che non c’è la notizia. Perché nel Belpaese rottamato manca una visione unitaria, manca un sentire condiviso. Cosa fare per i migranti? Intanto salvare dalla morte bambini, donne, giovani uomini, che hanno intrapreso il viaggio della speranza, e al tempo stesso provare a dismettere le guerre che ne provocano l’esodo? O invece “battere i pugni” a Berlino e a Bruxelles, non per contestare l’accordo della vergogna con la Turchia che perseguita i curdi, ma per strappare altri accordi similari con futuri leader di una Libia, non si sa come, pacificata? E sul referendum contro le trivelle? La notizia è, come dice Maria Elena Boschi al Corriere, “che ha provocato costi per tutti” e che il quesito andava interpretato così : “volete o non volete continuare a garantire 11mila posti di lavoro”. Oppure, come scrive Diamanti per Repubblica, la vera notizia è “che, con il contributo attivo del fronte anti-renziano, ci stiamo avviando verso un governo personale del premier”?

Il fronte anti renziano è eterogeneo. Dalla Lega ai 5 Stelle, da Fratelli d’Italia a Sinistra Italiana, da qualche sopravvissuto del vecchio Pd a una parte di Forza Italia. La sua insostenibile e temporanea unità si deve al fatto che il premier-segretario ha vinto, anzi spianato, uno dopo l’altro tutti gli avversari che operavano nel teatrino della politica, ma senza convincere né coinvolgere e neppure saper ascoltare una solida maggioranza di italiani. Con Renzi c’è Sicindustria, che sostiene di aver fatto sfracelli contro la mafia e non spiega – anzi non vuole che si dica – che il suo presidente Montante è indagato per concorso esterno alla mafia e il suo testimonial, Lo Bello, a quanto pare, per associazione a delinquere. Con Renzi, il presidente emerito, Giorgio Napolitano, che non ha votato al referendum, facendo propaganda all’astensione, e ora sostiene “che è maturo un nuovo procedimento – possiamo chiamarlo bavaglio? – sulle intercettazioni. Con Renzi, il presidente del CNR Massimo Inguscio cui si deve questa perla di saggezza: “Guai a chi parla dell’etica superiore di tutti perché questo era Robespierre. Il dovere nostro è di fare andare avanti l’Italia, fare sinergie, mettere insieme le forze ma senza pensare a principi etici”. Discorso tenuto all’università di Catania e per il quale Urbinati, Zagrebelski, Rodotà e altri ne chiedono ora le dimissioni. Mentre Cesare De Seta, sulla scorta della denuncia di Elena Cattaneo, spiega su Repubblica cosa rischino di diventare università e ricerca in Italia quando si caccia l’etica per fare affari.

I referendari hanno perso – dice Renzi – perché due terzi degli italiani non sono andati a votare. Alle amministrative – mette le mani avanti – si vota per il sindaco e non per il governo. La musica è nota e si chiama sospensione della democrazia. Cosa ha autorizzato il Pd ad allearsi con Berlusconi dopo aver detto in campagna elettorale che mai lo avrebbe fatto? L’aver rieletto Napolitano presidente – dopo aver bruciato Prodi -, Napolitano che quella “larga intesa” riteneva “indispensabile”. Che cosa ha autorizzato Renzi a strappare la campanella dalle mani di Letta e farsi premier dopo aver detto che mai l’avrebbe fatto se non fosse stato eletto per questo dagli italiani? L’idea sua e di Napolitano era che tornare al voto sarebbe stato una iattura, in quanto avrebbe bloccato le “indispensabili” riforme della Costituzione. Che cosa rende così “indispensabili” quelle riforme? La convinzione che l’Italia sia afflitta non da una corruzione dilagante né dalla recidiva incapacità dei governi di governare, ma invece dagli impedimenti giuridici, dai lacci e i laccioli imposti dalla legge fondamentale, residuo giurassico da una guerra di liberazione nazionale, detta Resistenza.

Quello che auspico è che il fronte anti renziano si unisca una sola volta: per dire no alla smandrappata riforma della Costituzione e alla legge elettorale Italicum, che ne rappresenta la ratio sostanziale. Dire no, con argomenti di merito, il cui primo e più importante è che dette riforme semplificano e deformano la democrazia lasciando all’elettore la semplice scelta, plebiscitaria, di un solo uomo al comando. Se i no prevalessero, si potrebbe dar vita a un governo di scopo, per gestire l’economia, varare provvedimenti urgenti contro la corruzione e scrivere una nuova legge elettorale, la più condivisa. O, in alternativa, si potrebbe andare subito alle urne, con la legge che c’è, il consultellum, proporzionale con preferenza unica. Giacché, caduta la riforma del Senato, cadrebbe anche l’Italicum, pensato solo per la Camera. Se invece vincessero i sì alla riforma Boschi, Finocchiaro, Renzi, Napolitano, a noi di sinistra non resterebbe che trasformarci in dissidenti (come nella Russia di Putin), gran parte della destra verrebbe risucchiata nel trasformismo (di cui Alfano e Verdini sono i campioni) ai 5 stelle resterebbe il sogno di andare al governo, abbattendo Renzi, con i voti di tutti gli anti renziani coalizzati nel turno di ballottaggio.

Oggi voterò la sfiducia al governo, che sarà respinta con i voti della minoranza Pd e a quelli di Verdini. Renzi potrà dire di aver vinto ancora una volta, di aver asfaltato tutti i gufi che lo contrastano solo per ragioni personali, cioè perché rosicano, perché le loro facce esprimono rancore, perché vogliono perder tempo per non perdere la poltrona, perché, gridando agli scandali, paralizzano l’Italia e mettono a rischio posti di lavoro generosamente offerti da Tempa Rossa e dalla FCA di Sergio Marchionne. Madamina, il catalogo è questo.

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