François Hollande si ritira. Il Presidente francese prende atto della sconfitta e annuncia che non si candiderà per un secondo mandato. Sconfitto dagli attentati del terrorismo islamico (Nizza, Bataclan, Hyper Cacher, Charlie Hebdo), dalla svolta a destra (jobs act francese) contestata da sinistra e non sostenuta da destra e imprenditori, e dalla crisi (finita in edicola) delle sue relazioni sentimentali. Ora è probabile che il suo primo ministro, Manuel Valls, voglia candidarsi. Dovrebbe però superare la sinistra interna per vincere la primarie socialiste (cosa che mi pare molto difficile) e si troverebbe poi comunque la concorrenza, sul fianco destro, del suo ex ministro Macron e su quello sinistro di Mélenchon. Hollande ha ammesso che il potere lo ha logorato, lo ha messo in trappola e digerito. Un tempo era un uomo brillante, pieno di humor, un buon commensale e un discreto politico, ma è apparso alla fine solo una mummia. Una mummia della Terza Via. Come la Clinton, che ha favorito la scalata al potere di Trump, come gli epigoni di Blair sconfitti due volte da Corbyin, come Sanchez che ha perso l’occasione di allearsi con Podemos ed è stato fatto fuori dalla destra del suo partito. Toccherà a Renzi la stessa sorte? Io credo di sì. Fortemente ridimensionato, se domenica prevarranno i No. Asfaltato da un grillino o addirittura da un candidato della destra, qualora, superato lo scoglio referendario, mirasse ancora a diventare “Sindaco d’Italia”.

La riforma è la garanzia della stabilità. Intervista di Renzi alla solita Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera. Dalle pagine di Repubblica gli risponde in modo mirabile Gustavo Zagrebelsky. “Che cosa significhi stabilità lo vediamo tutti i giorni: perdurante continuità delle loro aspettative, a costo delle ‘destabilizzazioni’ – chiamiamoli ricatti – che da loro stessi provengono”. Che poi scrive del voto di Domenica, scrive poi Zagrebelsky, “L’alternativa, per me, è tra subire un’imposizione e un’espropriazione di sovranità a favore di un governo che ne uscirebbe come un pulcino sotto le ali della chioccia, o affermare l’autonomia del nostro paese”.

Non gli credono più. Ieri si è sbracciato, sul web e in tv, vantando gli ultimi dati Istat: cresce il PIL, cala la disoccupazione. È la volta buona, è merito del mio governo! Un suo fan il quale, poveretto, si costringe a bere tutti i caffè amarissimi scrivendo su questo blog, mi ha subito sfidato, “voglio vedere, senatore, cosa scriverà domani”. Ma né il Corriere, né la Stampa, né la Repubblica stamane gli danno retta. Spiegano solo in cronaca che la crescita è stata arrotondata, dallo 0,254 allo 0,3%. Legittimo, ma tant’è. E fra l’altro “Il bicchiere mezzo pieno della crescita su base annua portata all’1%, nasconde il bicchierino mezzo vuoto – scrive Riccardo Puglisi – della minor crescita nell’ultimo trimestre”. Inoltre se il numero di quelli che cercano occupazione cala di 37mila unità ( – 0,2%), gli occupati diminuiscono a loro volta di 30mila unità (- 0,1%). Gustoso Giannelli titola: “Buone notizie agli elettori”. Disegna un signore in poltrona che legge: “Concluso il contratto degli statali; aumenti e salvagente per il bonus da 80 euro, PIL in aumento e disoccupazione in discesa”. Replica la signora: “Con un referendum al mese sarebbero risolti tutti i problemi”. Mi raccomando, tra poche ore votate No. Per mille buoni ragioni. Ma anche – se vorrete – per salvare Matteo Renzi. Da sé e da chi gli crede!

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