Il mistero degli italiani liberati, Corriere. Cosa sia successo davvero, grazie a cosa Policardo e Calcagno siano fortunatamente tornati a riveder le stelle, a differenza di Failla e Piano crivellati di proiettili, non lo sappiamo ancora. Forse non lo sapremo. Oggi molti editorialisti, Marcello Sorgi della Stampa in testa, dopo averci detto per mesi che l’intervento armato in Libia era inevitabile, deciso e imminente, scoprono che Renzi ha letto i sondaggi e si sia molto irritato per le pressioni dell’ambasciatore Usa (“missione” a guida italiana, 5mila nostri soldati in Libia). Tuttavia gli americani continueranno a far pressioni usando la Nato, i servizi segreti e l’azione diplomatica. L’accordo tra i governi di Triboli e di Tobruk – condicio sine qua non per un nostro sì ufficiale alla missione – non arriverà, e qualora dovesse essere annunciato non verrebbe rispettato, e dopo domani Renzi si incontrerà a Venezia con Fronçois Hollande – che si attende dalla sconfitta del Daesh la sua rielezione, e qualcosa dovrà pur dirgli. D’altra parte il Corriere mette in chiaro – Marzio Breda, pagina 6 – che l’invio di Forze Speciali, senza un dibattito esplicito in Parlamento, è già previsto dai decreti attuativi delle leggi che finanziano le missioni internazionali, dette “di pace”. Preferirei un confronto esplicito e pubblico sulle ragioni a favore e contro la guerra in Libia. Molti grandi giornalisti sembrano invece in attesa che il pericolo Daesh in Libia diventi così evidente da rendere non evitabile né discutibile una nostra (sia pure tardiva) partenza in guerra.

Il presidente Lula, uno degli ultimi miti della sinistra, è stato prelevato a casa, interrogato e rilasciato per ordine dei magistrati che indagano sulle tangenti pagate dal gruppo Petrobras. Moisés Naím racconta per Repubblica chi sia il procuratore, giovane e telegenico, che ha infranto un tabù – ancora oggi Lula è molto popolare in Brasile e forse avrebbe potuto persino ricandidarsi – e che sta mettendo sulla graticola l’attuale Presidente, Dilma Rousseff. Sostiene, Naím, che in America Latina sarebbe passato il tempo di leader popolari e progressisti, con il coraggio di opporsi all’imperialismo yankee, ma disattenti o corrivi sulla corruzione, molto diffusa in quelle come nella nostra società. Saremmo in presenza di una provvidenziale “mani pulite” sud americana che, per il momento favorisce le destre, allontanate dal potere dopo decenni di dipendenza dagli Stati Uniti e per le loro (enormi) responsabilità nei “golpe” e nella repressione del dissenso. É probabile che così sia, che le sinistre sud americane debbano fare un bagno all’opposizione per rinascere sotto nuove spoglie. Intanto? I Macri riporteranno quei grandi paesi nell’ambito del pensiero politico, culturale e ideologico del neo liberismo che a me sembra ormai sterile. Durerà?

Dati taroccati e sindacati “ridicoli”. La notizia la dà il Fatto: “Il boom dello +0,8 del PIL era una bufala, solo + 0,6”. L’stat ha dovuto spiegare – dopo un fuoco di fila di vari esperti via twitter – che le statistiche (incoraggianti) della scorsa settimana erano taroccate: omettevano di dire che nel 2015 si è lavorato 3 giorni in più rispetto all’anno precedente e trasformavano lo o,1% di “crescita” per quei tre giorni, in uno +0,2, giocando sui centesimi. Tutto per compiacere l’ottimismo. In realtà non crescono gli investimenti, cresce poco il numero degli assunti a tempo indeterminato, ristagna l’occupazione giovanile, resta bassa la produttività del lavoro, la corruzione non trova argine e frena la crescita. Hakuna Matata, non vi date pensiero: Renzi ha scovato un direttore (della Reggia di Caserta) che lavorava fino a sera tarda e, per questo, veniva contestato da sindacati “ridicoli”. Il primo ministro sa far bene il suo mestiere, sa vendere la merce della rottamazione (del passato) come condizioni di una palingenesi (del risveglio – come ebbe a dire – dell’Italia “bella e addormentata”). Nessuno, per ora, osa chiedergli conto dei risultati effettivi dell’azione di governo. Anzi – se mi consentite il paradosso – sembra che la crescita troppo bassa (in Italia dello 0 virgola) stia proteggendo l’azione di governo dalla delusione – in Spagna e Irlanda ormai ben nota – per una crescita nominale sostenuta – oltre il 3% – che tuttavia non riesce a creare fiducia nei giovani che cercano lavoro né a indurre il ceto medio a spendere fino all’ultimo euro e a indebitarsi.

Delle primarie Pd a Roma e Napoli non importa granché a nessuno. Ferruccio De Bortoli, tornato editorialista del suo Corriere, esprime un parere interessante sul contesto di tanto disinteresse. “L’Italicum darà stabilità ai governi – e ce n’era bisogno – ma con il premio di maggioranza, i capilista bloccati e le candidature plurime non si può dire che sia un caposaldo della democrazia rappresentativa. Gustavio Zagrebelsky definisce le riforme del governo Renzi il carapace -la corazza della tartaruga – del potere, Stefano Petruccianti parla più in generale di una regressione oligarchica”. E allora? De Bortoli cita Carlo Galli, forse il migliore intellettuale e deputato di Sinistra Italiana: “É necessario che si colmi il divario ormai aperto tra cittadini e istituzioni, tra cittadini e partiti”. Poiché tuttavia le opposizioni a Renzi – secondo de Bortoli e altri – valgono assai poco, inutile tornare al voto, meglio indurre il governo ad “accettare momenti di valutazione del suo operato anche diversi dal giorno delle urne. Le nuove tecnologie lo consentono. Ma occorrono cittadini informati, responsabili e convinti che la loro opinione conti davvero”. Purtroppo la pubblica opinione si troverà di fronte non una corretta informazione ma un referendum plebiscito : “Sei con Renzi o preferisci il caos? Meglio far qualcosa o nulla? Preferisci il direttore di Caserta che lavora fino a notte o i sindacalisti sfaticati?” Le osservazioni di De Bortoli non troveranno risposta

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