An unusually dark, bitter face-off. Un confronto nero, amaro come mai era capitato di vedere: Washington Post commentava così, questa notte, a caldo la performance dei due principali candidati per la Casa Bianca. Trump ha detto che farebbe arrestare la Clinton per le mail del dipartimento di Stato che ha nascosto, Hillary ha detto che Donald vive “in una realtà parallela” e non può fare il Presidente. Prima del dibattito nella università di St. Louis, Trump si è presentato in conferenza stampa circondato da 4 donne: 3 si sono dichiarate vittime sessuali di Bill Clinton, la quarta ha accusato Hillary di aver difeso, quando faceva l’avvocato, l’uomo che la stuprò a 12 anni, riuscendo a farlo condannare soltanto per “carezze illegali” a una minore. Clinton ha chiesto a Trump: hai usato o no le imposte non pagate per 18 anni? Certo che sì, le ha risposto Trump, ho usato i favori fiscali che tu da 30 anni garantisci ai tuoi amici e finanziatori. Hillary ha difeso i compromessi della sua lunga carriera citando un film di Spielberg in cui Abraham Lincoln tratta sempre col Congresso. “C’è una grande differenza fra te e Lincoln – l’ha gelata Donald – lui non ha mai mentito”. Ancora meno tasse ai ricchi ma anche alt all’acciaio cinese per proteggere i minatori americani, dice Trump. I ricchi paghino le tasse, risponde Clinton, ho lavorato 30 anni – dice – per proteggere la classe media e sostenere le sue conquiste. Bloccare alle frontiere i migranti siriani e musulmani, in quanto potenziali terroristi, e far di tutto per cancellare il califfato, dice Trump. Per Clinton, invece, il nemico principale è Putin, che copre in Siria crimini contro l’umanità, spia, hakera, viola la privacy dei cittadini e delle istituzioni americane, e fa di tutto perché vinca Trump. Non prendo soldi dalla Russia, risponde Donald, che scarica il suo vice, Pence, reo di aver condannato, senza se e senza ma, i bombardamenti russi su Aleppo.

Povera America e poveri noi. I democratici, dopo il generoso e incompiuto tentativo di Obama di voltar pagina, dopo la crisi economica e il disastro della politica imperiale americana, non avrebbero mai dovuto candidare una donna che rappresenta il potere da un quarto di secolo, prima al fianco di Bill, poi quando ha condiviso – come ha ammesso – infine la politica estera di Bush, per i rapporti troppo stretti con le corporation e l’Arabia Saudita, infine per essere stata, come segretario di stato, responsabile dei rovesci in Libia. I repubblicani, da parte loro, mai avrebbero dovuto arrendersi a un candidato anti casta che emana il peggior fetore, razzista e sessista, della casta dominante. Ora vorrebbero che si ritirasse. Trump li disprezza e passa al contrattacco, attacca la Clinton e la continuità del potere, galvanizzando i propri supporter, che però – spiegano i maggiori giornali americani – sono minoranza nel paese, una minoranza consistente ma minoranza. Clinton invece di attaccare si deve difendere, ma chiede i voti di Sanders (sostenendo che farà comunque più di Trump per millennials e ceto medio) ma anche quelli di Bush (presentandosi come candidato pragmatico, legato all’establishment. Conta sugli errori di Trump, sulle gaffes rivelatrici che lo rendano indigeribile per troppe donne, tanti ispanici e molti afro americani, per arrivare in carrozza alla Casa Bianca. “Il video (quello volgare e sessista) rappresenta esattamente chi tu sia”, dice Hillary. “Questa donna ha un odio tremendo nel cuore” ribatte Donald.

Bersani ha rotto l’accerchiamento, ora Renzi insegue. La trappola si sarebbe chiusa questo pomeriggio in direzione: L’Italicum? A me non sembra male, ma possiamo cambiarlo. Anche prima del 4 dicembre, se le altre forze politiche ci stessero. Intanto però l’importante è votare tutti Si, per non farsi del male da soli”. Questo avrebbe detto il segretario premier per mettere la minoranza nel sacco. Bersani si è sottratto un momento prima: tutte chiacchiere, voto No. Ora è Renzi che lo deve inseguire fuori dal recinto di caccia. Può avanzare una proposta di radicale modifica della legge elettorale, correndo il rischio di rendere manifestamente inutile la goffa legge di revisione costituzionale e anche l’altro, di essere spennacchiato – come ha detto un suo sottosegretario – per un contrordine dato troppo tardi e con intenti scopertamente strumentali. Oppure Renzi, può tagliare il nodo di Gordio, rompendo con la minoranza. In questo caso, però, si capirebbe come la riforma Renzi Boschi sia stata imposta al Parlamento con il ricatto solo da una minoranza del Pd, partito che a sua volta è minoranza in Senato e maggioranza alla Camera solo per quel premio, ottenuto da Bersani e previsto da una legge dichiarata poi incostituzionale.

Renzi darà un colpo al cerchio e uno alla botte. Questo prevedo. Si atteggerà a vittima, sventolerà il baratro delle elezioni anticipate e di una sconfitta probabile del Pd, accuserà Grillo, Berlusconi, Bersani di essere incoerenti e di giocare allo sfascio, proverà a parlare, direttamente, da solo, agli elettori. Intanto ha già concesso una non intervista a un non giornalista di nome Giletti, si sa che domani tornerà da Semprini a Politics e risponderà persino a qualche domanda della Berlinguer, per riprendere poi il fiato a Porta a Porta. da Bruno Vespa. “Un uomo solo al telecomando”, scrive il Fatto. “Resa dei conti nel Pd”, titola la Stampa. Repubblica fa lo stesso titolo ma poi aggiunge che questa resa dei conti è del tutto strumentale: “Renzi: vogliono farmi cadere”. Secondo il Corriere non è stato Bersani a sfidare Renzi: basta chiacchiere. Ma “Renzi (che) sfida Bersani sulla riforma: l’avete votata”.

Intanto la politica economica dell’Italia si sfarina. Al commissario europeo Moscovici ora pare troppo alta la soglia del 2,4% per il deficit. Repubblica scopre, per la firma di Marco Ruffolo, che si vorrebbero investire 90 miliardi in grandi opere (Tav e autostrade) ma appena 800 milioni per la difesa territorio, mentre servirebbe una somma 25 volte più grande. Grandi investimenti? Antonio Polito fa il cinico sul Corriere: “il ponte sullo stretto mai si farà”. “ l’Italia ha sprecato – commenta Giorgio La Malfa insieme a Massimo Andolfi – la grande occasione di stabilità politica e sociale apertasi all’inizio di questa legislatura che doveva servire a uscire dalla crisi economica ed a bloccare la corsa in alto del debito pubblico che, per le sue dimensioni, minaccia non noi soltanto, ma tutta l’Europa… Se veramente vogliamo fare qualcosa per i nostri figli, è necessario impedire che nel guado da cui il governo Renzi non è stato capace di far uscire il Paese gli italiani si ritrovino ulteriormente zavorrati dal caos istituzionale creato da queste confuse riforme”. Anche La Malfa voterà No.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.