Bufera sui sindaci, Stampa. “Sala, indagato per falso”, Corriere. “Mi sospendo da sindaco. Con l’onestà – dice Sala- non si scherza”, Repubblica. “Blitz a Roma per le nomine della Raggi”, ancora Repubblica. “Polizia in Campidoglio, bufera sulle nomine”, Corriere. Che succede? Che si sgretola la seconda Repubblica, quella che fu fondata sul ruolo taumaturgico dell’elezione diretta dei primi cittadini e su un presunto generale riscatto della politica dopo Mani Pulite. Milano e Roma, due storie parallele. Sala deve la sua fortuna al “successo” di Expo, di cui era commissario per il governo. Lavori in grave ritardo, bisognava far presto. Lo chiedevano il Presidente del Consiglio e dietro di lui – questo allora appariva – l’Italia intera! Beppe ha fatto in fretta, ma pare che così qualcuno abbia lucrato in modo illecito nella assegnazione dell’appalto più importante, da 272 milioni di euro. Non risulta che il sindaco si sia messo in tasca un euro. Marcuse direbbe che è stato fregato dal “principio di prestazione”. Gli avversari diranno, invece, che la fretta nell’assegnare gli appalti gli ha reso in fama e che, grazie a questa, è stato eletto poi a Palazzo Marino. Virginia Raggi non risulta, a oggi, indagata. Ma per lo stesso “principio di prestazione”, cioè per non deludere le attese degli elettori e del Movimento 5 Stelle, appena eletta ha nominato due super amministratori di rito meneghino, Carla Raineri e Marcello Minenna, di cui quasi subito non è riuscita a fidarsi e che ad agosto ha sostituito con personaggi diversi, provenienti del sottobosco politico e amministrativo della capitale. Ha violato regole e procedure? L’accusa è della Ranieri, la risposta la darà il giudice.

Politici, imprenditori, magistrati. La seconda repubblica ebbe come proto-eroi Di Pietro e Borrelli, osannati perché perseguivano imprenditori e politici. Prese poi forma nel segno di Silvio Berlusconi, imprenditore costretto a scendere in politica per opporsi a una giustizia che – a suo dire – tracimava nella politica favorendo il nemico “comunista”. Infine Renzi ha affermato una assoluta autonomia della politica che doveva culminare in una corposa modifica della Costituzione e nella sua elezione diretta a premier, sindaco d’Italia. Tutto ciò è il passato, ormai. L’opinione pubblica non esalta più la ramazza dei giudici, né sostiene l’imprenditore martire e neppure crede nella mano magica del Principe fiorentino. Dopo il referendum Sala si sente solo e si sospende. Raggi mantiene il sostegno (obbligato) di Grillo ma arranca. Di Pietro è stato tradito dal figlio e dall’Italia dei valori che briga posti di sottosegretario. Berlusconi rischia un nuovo processo per aver pagato le olgettine e deve ringraziare il governo Gentiloni per l’aiuto che gli sta dando nello scontro con Bolloré. A Pontassieve medita la rivincita, ma il suo ex ministro Orlando difende il referendum della Cgil contro il Jobs Act dal voto politico anticipato, il suo ex ministro Martina chiede si superare “la vocazione maggioritaria” del Pd, Repubblica scopre che con i voucher il lavoro è oggi più precario, il Corriere archivia il muro contro muro opposto da Renzi alla Cgil.

Lacrime di coccodrillo. In un’intervista a Francesco Merlo, Debora Serracchiani lamenta di essere vittima della “politica cattiva fatta di insulti” e rivendica di non aver usato, “prima della sconfitta”, gli stessi metodi. Quanto a Valeria Fedeli, non solo non avrebbe conseguito – come invece scriveva – un “diploma di laurea”, ma neppure sostenuto l’esame di maturità. Non sono buonista. Ricordo come codeste rottamatrici, e il loro mentore e i loro droni in rete, abbiano infangato chiunque intralciasse la loro ascesa. Lo ricordo meglio di altri, visto che Matteo, usando un video carpito da un telefonino e “passato” a Repubblica, mi dedicò ben 10 minuti di una sua superba arringa (dopo il trionfo alle europee), additandomi come un vecchio odioso che insultava bambini autistici. Maria Elena (lo stesso giorno e nella stessa città dove dovevo animare un’iniziativa politica per il Pd) si fece pubblicamente intervistare dal giornalista di Repubblica che mi aveva dato dello “scroccone”, manipolando una lettera privata in cui denunciavo certi metodi di finanziamento del Pd. Retroscenisti, manipolatori del web e sepolcri imbiancati dei giornali mi attaccarono poi di essere un misogino rancoroso, per aver ricordato (quello che ora è luogo comune) che la Boschi aveva condizionato Renzi nella scrittura della riforma costituzionale. Tuttavia chiunque voglia il bene pubblico non può rendere pan per focaccia ora che – lo ammette Serracchiani – i rottamatori sono sconfitti.

Il dollaro mai così forte da 14 anni, Financial Times. “La Fed suona la fine del denaro facile”, Le Monde. “L’esercito siriano riconquista Aleppo, ridotta a un ammasso di macerie”, El Pais. “Immigrazione, l’Europa decide di non scegliere”, Corriere. (Se è per questo, l’Europa ha anche deciso di sospendere il piano di aiuti alla Grecia perché le misure “sociali” di Tsipras le sono sembrate ancora troppo di sinistra). “Il Brasile sprofonda nella crisi di regime”, Le Monde. Perché il Presidente che, con un colpo di stato politico e giudiziario, ha scalzato Dilma Rousseff è (lui sì) un corrotto. “Mediaset, Bolloré cerca la tregua”, la Stampa. Tutto potrebbe finire con un pranzo di Natale. L’appoggio di Gentiloni e la discesa in campo di Agcom (che denuncia la concentrazione eccessiva di Vivendi in Telecom e Fininvest), potrebbero alla fine permettere a Silvio di trattare meglio, nell’interesse della sua famiglia.

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